Mostra Etnografica

di Elena Bagalà

Spunti per una lettura delle pratiche museali contemporanee

Il Museo di Arte e Scienza di Milano ha ospitato tra il 17 Aprile e l’8 Maggio la mostra etnografica Ancestral con lo scopo di celebrare i venti anni di attività e di impegno di Sangre de America,  organizzazione no-profit motivata dalla necessità di promuovere l’autoderminazione delle comunità indigene, diffondere il valore delle tradizioni ancestrali e la coscienza a livello internazionale sul reale rischio di estinzione di coloro che reputano gli ultimi guardiani della natura, le popolazioni indigene.(1)

La mostra, presentata come una mostra etnografica su simboli e testimonianze della cultura spirituale dei popoli originari, è stata inaugurata il 17 Aprile con un evento di apertura ed è stata aperta al pubblico per le due settimane successive concludendosi con un evento di chiusura a cui ho partecipato l’8 Maggio.

Sulla pagina internet del museo si può leggere: Ancestral trasmette un’ampia pluralità etnica e rievoca idee trascendentali attraverso il linguaggio universale dell’arte, dei suoni e del culto Sciamanico, al di là della visione eurocentrista o della concezione puramente estetica delle opere.

L’esposizione poteva contare su più di 100 oggetti provenienti dai cinque continenti afferenti a oltre 500 anni di storia (2) e si sviluppava all’interno di due sale non molto grandi. Purtroppo non vi era alcuna brochure sulla mostra che potesse guidare il visitatore e anche all’interno delle due sale era difficile riuscire ad orientarsi in quella giungla di oggetti. Infatti questi non erano catalogati né presentati, non vi era alcuna spiegazione riguardo gli oggetti che erano stati semplicemente raggruppati visivamente per area di provenienza, la quale era segnalata da un cartellino. Di fatto nella stessa stanza si potevano osservare oggetti appartenenti a popolazioni tibetane e a popolazioni africane insieme a manufatti della zona amazzonica.

Ho trovato il repertorio molto ricco ed interessante, ma poco valorizzato dall’esposizione che a mio avviso risultava un po’ caotica. In varie occasioni mi sono chiesta che tipo di oggetto fosse quello che stavo osservando e a cosa servisse, se fosse un oggetto di uso quotidiano o un oggetto sacro, quale fosse il significato di quell’oggetto per chi lo aveva realizzato e purtroppo sono andata via portandomi dentro queste stesse domande senza risposta.

L’evento conclusivo prevedeva vari interventi introdotti dal direttore del museo Dott. Peter Matthaes che nelle sue presentazioni ha spesso utilizzato un linguaggio poco adeguato, come per esempio l’utilizzo dell’espressione “popoli primitivi”.

Il primo contributo, Racconti mitologici delle Ande, è stato quello dell’attrice Paola De Crescenzo che ha letto “Las Cinco Aguilas Blancas / Le cinque aquile Bianche”, un mito di Tulio Febres Cordero.(3) È stato un ascolto molto piacevole, la lettura è stata accompagnata da suoni di sottofondo relativi al mondo naturale.

Successivamente c’è stato un intervento, che ho trovato alquanto confusionario, dal titolo “Vortex” sul suono come portatore di energia con una dimostrazione finale, a cura di Andrea Bini presentato come professore e musicologo.

A questo è seguito un breve intervento di ringraziamento di Hildegard Antoni Carvajal fautore di Sangre de America e ideatore di Ancestral. Egli ha colto l’occasione per ricordare nuovamente le continue sofferenze di popoli indigeni e l’importanza di difendere la loro cultura, la cosmogonia e lo stile di vita semplice di questi nativi che ancora continuano ad essere assoggettati e sfruttati dal mercantilismo neoliberale e dalla “civilizzazione progressista”.(2)

In conclusione c’è stata la conferenza, molto interessante, sulla manipolazione mediatica nell’assoggettamento culturale dei popoli, a cura del Dott. Walter Martínez giornalista e conduttore del programma Dossier Telesur, a cui è stato consegnato un premio dal Consolato generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Milano.

Anche in questo caso ho trovato che questi interventi non fossero inseriti in una cornice adeguata e che desse loro un senso unitario, una chiave di lettura; mi è sembrato che la loro unica attinenza fosse quella di riferirsi ai cosiddetti popoli originari, un filo conduttore molto vago che ha rischiato di sminuire la qualità dell’evento.

A questo proposito mi sembra importante segnalare quanto sia ancora carente l’idea di “museo” e di “mostra” nel nostro paese; un paese che per nostra fortuna è ricchissimo di siti archeologici e di reperti di popolazioni a noi precedenti, sia autoctone che non, ma che purtroppo non siamo abituati a mettere sufficientemente in luce o a valorizzare in maniera adeguata. In effetti, nonostante ci sia un numero in continua crescita di studiosi e persone che si formano proprio per aumentare l’attenzione all’alterità culturale e approcciarsi ad essa con competenza e professionalità, penso in particolare alla figura dell’antropologo/a, lo scollamento tra formazione e mondo lavorativo fa sì che queste stesse competenze non vengano prese in considerazione. Di conseguenza le strutture museali continuano ad avere lo stesso impianto organizzativo e la stessa modalità espositiva di quando furono concepiti perpetrando la tradizione Occidentale che tende alla museizzazione delle “culture altre”, spesso presentate in maniera sommaria ed esotica, legata alla spettacolarizzazione dell’altro visto ancora troppo spesso in termini di primitivismo.

Questo atteggiamento di accumulo di reperti e della loro esposizione, una vera e propria pratica di collezionismo tipicamente occidentale che viene costantemente riproposta senza essere messa in discussione e sulla quale non ci si pone il problema di riflettere, si autoalimenta attraverso eventi espositivi, come nel caso di Ancestral. In queste occasioni infatti vengono presentati gli oggetti etnografici senza considerare l’umanità che li ha prodotti, il senso che custodiscono per i loro autori e la storicità delle popolazioni da cui provengono rafforzando il luoghi comuni e lo sguardo eurocentrico che domina la rappresentazione dell’alterità dei popoli indigeni.

Nota: in seguito all’esplicita richiesta di Sangre de America di togliere ogni riferimento visuale della mostra dal nostro articolo, e non essendo neppure nostra intenzione fare loro pubblicità, abbiamo optato per rimuovere la locandina che originalmente era pubblicata assieme all’articolo.

Fonti

(1) http://www.cercarte.it/arte/foto/2446-laura-de-roberti/album.html?albumid=1046

(2) http://www.museoartescienza.com/ancestral-mostra-etnografica/

(3) http://www.museoartescienza.com/ancestral-conferenza-e-finissage-mostra/

 

2 commenti

Archiviato in america latina, antropologia, articoli in italiano, attualità, diritti

2 risposte a “Mostra Etnografica

  1. Valeria

    brava Elena! io avevo visto parte della conferenza di apertura e me n’ero andata alquanto stupita e, diciamolo, schifata. l’intervento di apertura era stato affidato ad un archeologo esperto di culture latinoamericane (all’incirca così era stata la presentazione) che avrebbe dovuto parlare dell’arte etnica e invece… ha raccontato storielle sensazionali sui riti maya stile “questi si perforavano con uno spillone e facevano cadere il sangue in terra… anche i genitali si perforavano questi eh”. e poi ho ascoltato il fautore di Sangre de America che ha esposto idee anche condivisibili ma in una modalità che mi è sembrata eurocentrica, pur essendo lui venezuelano. mi spiego, parlare dei nativi come ‘persone ingenue’, cito testualmente, getta via tutta la questione del contesto, della pluralità delle Culture, ecc ecc ecc ingenue?! rispetto a chi? rispetto a cosa?! bah.
    quanto ai musei, pane per i miei denti, lo stesso museo in cui è stata presentata la mostra non ha nulla di ‘scientifico’ nè minimamente al passo coi tempi. non so in che sala si sia tenuta la conferenza alla quale hai partecipato, ma immagino sia stata la stessa nella quale mi sono ritrovata seduta io: tappeti appesi alle pareti sui quali, per segnalare punti di particolare interesse nella fattura erano state APPICCICATE delle frecce gialle di cartoncino indicanti, appunto, la trama della tessitura. non commento nemmeno.
    realtà museali valide ci sono, purtroppo non numerosissime nel nostro Paese. ma ahimè anche il tanto osannato Quai Branly a Parigi a me ha dato l’orticaria: ne sono uscita davvero delusa. è un ammasso di oggetti meravigliosi ma, appunto, ammassati, nonostante il travestimento da bella esposizione. di scientifico e metodologico non ha nulla e non ci si orienta, si resta invece con il dubbio di essersi persi qualcosa, di non aver beccato una svolta, un corridoietto, di essersi dimenticati di passare davanti ad alcune vetrine. ci sono invece realtà ben più piccole e con più difficoltà che compiono un eccellente lavoro per valorizzare oggetti di culto e non di culture altre cercando di presentarle all’Occidente egocentrico sotto una luce di dignità e di molteplicità delle Culture (vedi – ma lo ammetto, sono di parte – il Museo delle Culture di Lugano).

    • antropocosmos

      Valeria, grazie per i tuoi commenti e per ampliare il panorama delle mostre etnografiche! sarebbe interessante conoscere meglio cosa fa il Museo delle Culture di Lugano. un caro saluto.

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