Il 19 giugno Chiara Carraro e Francesca Rindone sono atterrate a Buenos Aires. Da qui parte la loro esperienza di ricerca argentina assieme ad Antropocosmos. Questi, i primi appunti di Chiara Carraro, scritti prima della partenza per il Chaco. Buona lettura!

Chiara, Francesca e Alicia Martín. Istituto Nacional de Antropología. Buenos Aires, luglio 2014.
Buenos Aires, 10 luglio 2014.
Testo e fotografie di Chiara Carraro.
E’ stata fondamentale la tappa a Buenos Aires di qualche settimana, prima di partire per il Chaco, per cominciare a lavorare sulla cornice storico-politica Argentina nella quale le lotte indigeniste sono inserite, che se esperita dal vivo è molto più incisiva che se letta su libri di storia.
Abbiamo frequentato l’Università di lettere e filosofia di Buenos Aires (UBA), prendendo contatti con docenti di antropologia che lavorano nel ambito indigenista, con ricercatori che attualmente lavorano o hanno lavorato in Chaco con i Qom ma non solo, abbiamo condiviso con loro linee e prospettive di ricerca, ci siamo scambiati utili materiali che sono un ottima base dalle quale partire.
Siamo stati accolti in centri culturali, centri di ricerca antropologica ed etnografica, abbiamo avuto accesso a biblioteche e archivi audiovisivi.
Abbiamo vissuto la Capital, il polo politico, economico, culturale del paese da dove tutto parte e dove tutto termina, dalle linee ferroviarie alle rivendicazioni politiche, Buenos Aires è la città che da riverbero e risonanza a ciò che le interessa.
In Chaco avremo a che fare con le resistenze di coloro che strutturalmente sono gli esclusi.
Questi opposti poli daranno una visione sicuramente più completa della storia.
PER LE STRADE DI BUENOS AIRES
Il tiepido sole invernale colora le foglie che non cadono dei lussureggianti alberi cittadini, il vento umido riempie le strade troppo grandi per essere contenute nel nostro immaginario europeo.
I ragazzi usciti da scuola ballano sotto la statua enorme di Simón Bolívar.
Se l’inverno qui è cosi come oggi lo sto percependo, allora non sarà troppo difficile passare dai 30 gradi dell’ inizio di Giugno torinese ai 17 gradi di qui.
Buenos Aires è un crogiuolo di migrazioni Europee che hanno reso i tratti fisici dei suoi abitanti piacevolmente rassicuranti, per noi; le simulazioni gestuali caricaturali dell’Italiano del sud, immigrato qui, sono ormai patrimonio simbolico dei Porteños, anche se la distanza tra i due paesi emerge con evidenza nelle insegne dei negozi che vendono Muzzarella.
A San Telmo le vecchie case coloniali ormai fatiscenti sono ricoperte di ridenti murales che urlano slogan politici; tra i bui negozi di seconda mano, che vendono oggetti-simulacro di storie di migrazione si ascolta e si balla il Tango.
Tutto questo romanticismo malinconico, scarpe lucide nere che si rincorrono armoniche sulla pista da ballo, corpi di sconosciuti che condividono dieci minuti di intimità passionale.
Mi fermo a guardare quella vecchia coppia volteggiare per almeno un ora.
“La crescita violenta e tumultuosa di Buenos Aires, l’arrivo di milioni di esseri umani pieni di speranze e la loro quasi invariabile frustrazione, la nostalgia della patria lontana, il risentimento dei nativi contro l’invasione degli immigrati, la sensazione di insicurezza e di fragilità in un mondo che si trasforma vertiginosamente, l’impossibilità di dare un senso sicuro all’esistenza, la mancanza di gerarchie assolute, tutto ciò si manifesta nella metafisica del Tango.” (cit.Horacio Salas)
PARQUE AVELLANEDA
Ogni quartiere ha fattezze e caratteristiche peculiari e riconoscibili, spostandosi di quartiere in quartiere sembra di entrare e uscire da città differenti.
Durante la fogada di San Pedro y san Pablo le strade attorno al parco Avellaneda si sono riempite di carnevalesche figure protagoniste indiscusse di una parata giocosa, scandita dei ritmi dei tamburi della Murga.
Giovani travestiti da vecchi, bambini vestiti da streghe e stregoni, tutti durante la marcia scrivevano su bigliettini i mali del mondo nella speranza che non si ripetano.
Garage Olimpo è il luogo dove da dove è partita la marcia e dove negli anni della dittatura sono stati detenuti e torturati molti prigionieri politici poi desaparecidos. Parata performata e cantata, di memoria e riflessione sulla recente e tragica storia argentina, terminata nella prima decade degli anni ’80, che ha disseminato per la città le sue reliquie visibili.
L’UNIVERSITÀ
L’università di lettere e filosofia è un covo di sinistroidi militanti che rendono l’atmosfera molto frizzante, quasi effervescente. Sembra un po di vivere nei racconti degli anni settanta.
Si fuma in aula e alcune signore vendono per i corridoi dolci abbondantemente ripieni di dulce de leche e Mate cocido.
Ognuno ha un termos e un Mate più o meno intarsiato nella borsa.
Alcuni docenti ci accolgono calorosamente e subito penso alla freddezza di alcuni professori torinesi. Sarà il fascino comunque esotico dell’europeo, ma personalmente credo che qui la freschezza del rapporto umano venga prima della gerarchia accademica.
Alcuni stereotipi i primi giorni vengono prontamente confermati, quindi sì, i flauti di pan degli Intillimani suonano nelle strade e i rappresentanti dei popoli indigeni cantano e suonano proprio quei flauti alla fine di una conferenza in università.
La resistenza indigena è sofferta e viva.
Felix Diaz è il rappresentante indigeno Qom della comunità di Primavera di Formosa, nella provincia di Formosa, parla per primo durante la conferenza in università a cui abbiamo assistito, dal titolo “Transformaciones territoriales y establecimientos indígenas en la ciudad”. Dopo di lui intervengono altri rappresentanti Qom, Mapuche e Mocoví.
Il giorno in cui si è deciso di cenare con Felix, la calma del suo sguardo e la gestualità composta lo rendevano poco avvicinabile e troppo avvicinabile nello stesso tempo; ha parlato poco quella sera, ma ci aspetta a Formosa.
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