Intervista ad Antropocosmos su Digi.TO Il magazine online dell’Informagiovani di Torino
Alla vigilia del quinto anno come Associazione culturale, un breve riepilogo, attraverso le voci di Ilaria Bonelli e Francesca Rindone.

Nonna e nipote impegnate nel lavoro artigiano, Paraje Pozo del Toro, Miraflores, Chaco
Qual è la vostra idea di antropologia?
Crediamo che possa essere una risorsa importante per la comprensione della realtà nella sua interezza e quindi una base su cui costruire, in un assetto interdisciplinare o multidisciplinare, i presupposti per la trasformazione socio-culturale. Il nostro tentativo è quello di creare un trait-d’union tra la ricerca, il principio di qualità e solidità della disciplina, e la realtà, a cui sono destinate le riflessioni, le analisi e le azioni successive. Siamo una realtà atipica e in Italia si contano sulle dita delle mani le associazioni di antropologi. Abbiamo quindi dovuto immaginarci un’identità, degli obiettivi specifici e una metodologia operativa, che non fosse solo quella usata per la ricerca, per portare le nostre idee nei progetti e nelle collaborazioni. Stiamo crescendo come professionisti nel terzo settore, formandoci e imparando da altre realtà affini e dai nostri errori.
Quali sono i progetti in corso?
Siamo in una fase di rilancio bellissima. Abbiamo appena dato l’avvio a un progetto nato dalla cooperazione con Edisu Piemonte, finalizzato a migliorare la qualità di vita degli studenti residenti presso le strutture Edisu, attraverso il lavoro in équipe interdisciplinare che conta antropologi e psicologi. Inoltre stiamo mettendo le basi per implementare i progetti di cooperazione in Chaco e per avviarli in Salvador. Infine una gran parte dell’Associazione sta lavorando per la diffusione delle ricerche antropologiche attraverso prodotti audiovideo.
Francesca, ci parli meglio della tua ricerca?
La mia ricerca si è concentrata nel Chaco argentino, zona nord-est al confine con il Paraguay, meglio conosciuta come “Impenetrabile” e mi sono occupata principalmente di cooperative di lavoro al femminile create dalle mujeres cesteras, definizione che si riferisce alla loro attività artigianale principale, la produzione di cesti. L’obiettivo era duplice, ricerca e cooperazione. Da questo punto di vista il progetto si concretizzava nel seguire passo per passo sia la nascita delle nuove cooperative artigianali nei parajes, “borgate” molto lontane dai centri abitati, sia la produzione e la vendita dei cesti prodotti.
Ritieni che concrete possibilità di “fare antropologia” siano diffuse al di fuori dell’ambito accademico?
«Per quel che riguarda la mia esperienza personale posso dire che non ci siano tante altre realtà come Antropocosmos, che tra l’altro sta trovando molte difficoltà nel portare avanti i suoi progetti per problemi di finanziamenti: è un dato significativo se si pensa che comunque le possibilità di fare ricerca al di fuori dell’ambito universitario sono pur sempre molte di più rispetto alle possibilità di farlo all’interno. Dico questo mettendo a confronto l’ambito accademico italiano, in cui gli antropologi vengono formati solo ed esclusivamente con la teoria per poi trovarsi a cercare disperatamente un’opportunità di fare ricerca, con quello spagnolo e argentino, dove invece il rapporto tra studente e ricerca sul campo è costante ed evolve man mano che prosegue negli studi».
Fonte:
Intervista realizzata a cura di Claretta Caroppo e Antonella Capalbi per Digi.TO
18 FEBBRAIO 2015
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