Damiana Kryygi: una storia circolare di un lungo ritorno a casa

Una riflessione sul ruolo dell’antropologia nei crimini e nei silenzi latinoamericani: il caso di Damiana Kryygi, raccontato nel film di Alejandro Fernández Mouján

Milena Annecchiarico

Damiana_Kryygi

Damiana Kryygi
Regia e sceneggiatura Alejandro Fernández Mouján
Buenos Aires 2015 http://www.damianakryygi.com.ar

Da una ricerca condotta da Alejandro Fernández Mouján e dall’antropologa Susana Margulies.

È marzo e all’Università di Buenos Aires iniziano le lezioni del corso di laurea in Antropologia. Susana Margulies è docente di storia della teoria antropologica e nella prima lezione si proietta un film documentario scritto e diretto da Alejandro Fernández Mouján: Damiana Kryggi. Per l’occasione il regista, è stato presente per dialogare con gli studenti e il pubblico accorso alla presentazione d’eccezione nell’edificio universitario.

Damiana Kryygi racconta una storia di violenza e umiliazione perpetrate da coloni e uomini di scienza su un gruppo indigeno nella selva del Paraguay. La proposta cinematografica invita ad una profonda e onesta riflessione sul ruolo che ha avuto l’antropologia nei crimini coloniali e poscoloniali, così come sul senso attuale di questa disciplina che osserva se stessa. Inoltre, l’argomento del film è di uno straordinario spessore politico attuale: dal 1994 ad oggi si stanno portando avanti restituzioni di resti umani e oggetti appartenenti ai popoli indigeni del territorio argentino in quanto specifica politica di riparazione storica. L’ultimo è il caso di Seriot, il lider del popolo Selk’nam (Onas) della Terra del Fuoco, fucilato durante il genocidio conosciuto con il nome di Campagna del Deserto (1878-1885), e restituito in aprile 2016 alla comunità dopo un lungo procedimento burocratico con il Museo di La Plata dove era conservato [Nota 1]

Damiana Kryggi narra la vicenda del ritrovamento e restituzione dei resti di una giovane donna dell’etnia Aché del Paraguay, rapita a fine ottocento da coloni bianchi e trasformata poi in oggetto di scienza. Con un attento e squisito linguaggio audiovisivo che connette i diversi materiali disponibili, interviste e molti chilometri percorsi tra l’Argentina, il Paraguay e la Germania, il documentario percorre diversi filoni narrativi che attraversano la storia di Damiana Kryygi e del suo popolo, dando un profondo senso di circolarità del tempo, unendo le vicende del passato con il presente. Partendo da una fotografia in bianco e nero di inizio secolo XX che ritrae la giovane donna, il regista si chiede se è possibile ricostruire la sua storia, ritrovare il senso in quello sguardo cosciente e permanente che interroga il tempo e lo spazio.

La storia. Nella densa selva paraguayana abitano attualmente diverse comunità Aché, conosciuti anche con il nome di guayaquí, un popolo seminomade di raccoglitori e cacciatori che, sopravvissuti a diverse campagne di sterminio, attualmente vivono in villaggi isolati e minacciati dalla deforestazione. Il film inizia con scene di vita quotidiana, mentre vediamo un uomo intento a cavare una fossa, un’azione il cui senso sarà svelato alla fine del film. Nel 1896, una bimba aché di tre anni sopravvive a un massacro perpetrato da coloni paraguaiani.  Battezzata con il nome di Damiana, la bimba è inviata in Argentina e viene allevata come “criada” dalla famiglia del Dott. Alejandro Korn, un influente uomo di scienza e politico argentino. Damiana cresce al servizio della famiglia fino a quando, adolescente e malata di tubercolosi, viene rinchiusa sofferente nel manicomio di Buenos Aires diretto dal Dott. Korn: d’accordo ai pregiudizi dell’epoca, Damiana è accusata di possedere una condotta sessuale anormale, una “libido incontrollabile”. È il 1907 e Damiana viene fotografata nuda tra le mura del manicomio dall’antropologo tedesco Robert Lehmann-Nitsche, un favore che il Dott. Korn concede al suo amico e collega. Queste foto saranno un materiale straordinario e di prima mano che servirà per condurre importanti studi scientifici sui “tipi umani”, come apprendiamo dalle parole entusiaste scritte nei testi di Lehmann-Nitsche [Nota 2]. Due mesi dopo, Damiana muore di tubercolosi: una parte dei suoi resti vengono portati nel Museo di La Plata, di cui era direttore l’antropologo tedesco, mentre il cranio va a finire in un ospedale di Berlino, in Germania. Damiana scomparirà in scatoloni catalogati con numeri, anonima e dimenticata per 100 anni, negli archivi del Museo argentino e dell’ospedale berlinese. Come apprendiamo anche dal film, il suo è un destino tragicamente comune a molti altri resti umani e oggetti di vario tipo conservati in queste istituzioni, appartenenti alle popolazioni che il colonialismo saccheggiava e l’antropologia studiava.

Il ritorno. Nel 2010 un gruppo di antropologi del Museo di La Plata identifica i resti di Damiana con l’obiettivo di restituirli al suo legittimo popolo. È a questo punto che parte il progetto cinematografico di Mouján e inizia la ricostruzione del lungo viaggio di ritorno di Damiana Kryygi. Il ritrovamento di Damiana si intreccia nella narrazione cinematografica con le vicende personali di uomini e donne Aché di oggi, rielaborando un passato e un presente comune, di violenze, soprusi e resistenze, tra continuità e rotture. Un tema ricorrente che da forza alla struttura narrativa del documentario è il ritorno e, più precisamente, la scelta del ritorno. Il principale ritorno al centro della storia è quello, emozionante e struggente, di Damiana alla terra natia; allo stesso tempo, acquistano una forza inaspettata le esperienze di uomini e donne Aché che si raccontano nel film, cresciuti altrove come “criados” di famiglie bianche, rapiti da bambini o testimoni di innominabili massacri, come Damiana, e che decidono di tornare alle loro origini, al loro territorio, di restarci nonostante tutto e da lì resistere, come Kryygi. Un ritorno corale verso la propria terra da cui ripartire e ricostruire un cammino di dignità. Il ritorno di Damiana Kryygi e degli Aché, narrato in questi termini, è un necessario atto di resistenza, è una dolorosa vittoria che scardina la falsa linearità della storia. È anche un ritorno all’identità: Damiana, il cui vero nome non sappiamo, è il nome di un’appropriazione, di una violenza lunga un secolo e ripetuta innumerevoli volte. Kryygi è il nome che gli Aché decidono per lei e con cui ritorna finalmente alla sua terra ancestrale, restituita al posto scelto per lei, forte come le radici di un albero che cresce rinnovato nel villaggio Aché.

L’utilizzo di una fotografia e un suono precisi, profondi, intimi, trasferisce un senso chiaro di permanenza e di circolarità delle vicende narrate, una spirale in cui si muovono i diversi piani del film. L’utilizzo di sapienti travelling o di lunghi piani sequenza, non risponde ad un’estetica descrittiva virtuosa e scontata, ma rappresenta un’ immersione sincera e profonda, commovente e sensoriale, nell’esperienza di resistenza e di denuncia del popolo Aché. È una proposta che interroga non solo la storia come mero racconto di avvenimenti, ma attacca il cuore stesso degli oggetti: scatti fotografici, scheletri, registri etnografici, lettere, mura e alberi sono testimoni vivi dell’espropriazione di identità, dell’umiliazione e delle violenze commesse, e allo stesso tempo, sono il perno delle rivendicazioni attuali. Oggetti risignificati che incarnano messaggi inediti e aiutano a ricostruire insieme allo spettatore la materialità del tempo e della memoria, rendendo questa storia sorprendentemente vicina, presente, urgente. Come anche attuale e urgente è l’analisi antropologica e politica della memoria, della scienza e soprattutto dei silenzi della storia argentina, a cui il film invita senza metafore.

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Immagine del film Damiana Kryygi. Fonte: http://damianakryygi.com.ar/es_ES/ Gentile concessione del regista.

Note

Nota 1. La restituzione dei resti umani conservati nel Museo di La Plata fa parte di una politica di riparazione storica sancita dalla legge argentina (Legge 25.517, 2001).
Per saperne di più sul caso di Seriot:
http://diariofull.com.ar/nota/3423/restituyeron_los_restos_de_seriot_martir_del_genocidio_llamado_campana_del_desierto/

Nota 2. Cfr. LEHMANN-NITSCHE, Roberto (1908). “Relevamiento antropológico de una india guayaquí”. Revista del Museo de La Plata, Tomo XV (segunda serie, tomo II), 91-99
Per conoscere di più sull’operato dell’ antropologo tedesco in Argentina, si può leggere un’intervista fatta alla ricercatrice Lena Dávila (UBA/CONICET):
http://argentina.indymedia.org/news/2016/02/887124.php

 

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