La recente scomparsa di Gabriel García Márquez (Aracataca 6 marzo 1927 – Città del Messico 17 aprile 2014), grande protagonista della letteratura contemporanea, è stata per me l’occasione di riprendere in mano la bozza di un articolo che avevo intenzione di scrivere, ma che poi non avevo mai portato a termine. Era mio desiderio raccontare e dare visibilità ad una sua opera che non fosse Cien años de soledad o El amor en los tiempos del cólera, i suoi due lavori più noti e di cui spesso si sente parlare, perché il genio di questo autore è ricco di molte sfumature e volevo, con il mio modesto contributo, mettere in luce una di queste che è forse un po’ meno nota.
Il libro di cui voglio parlare è El general en su laberinto, dedicato all’ultimo fatale viaggio di Simón Bolívar sul fiume Magdalena, durato circa 14 giorni e di cui ci sono pochissime testimonianze scritte. È un romanzo storico basato su numerose ricerche e realizzato dopo due anni di intenso lavoro, nel quale non manca l’elemento caratteristico di Márquez, il cosiddetto realismo magico che fa capolino nel testo, ma che non ritroviamo solamente in quei brevi cenni che immancabilmente, durante la narrazione, frantumano il reale, presenza costante che con la sua tragicità ci tiene ben ancorati a terra e agli avvicendamenti storici, ma per come è concepita l’intera opera. In questo caso infatti assistiamo al racconto di un personaggio realmente esistito, ma che è in se stesso un mito, un eroe, quasi un dio per ciò che ha osato sognare e compiere durante la sua vita.
Lo scollamento tra reale e magico di conseguenza raggiunge il suo apice in relazione alla dicotomia passato-presente, quindi tra l’immagine mitica del protagonista e quella che il racconto ci fornisce di lui con un’attenzione ed un amore per i dettagli quasi disarmante.
L’autore ci restituisce un’immagine molto umana e decadente, oserei dire, di colui che è passato alla storia come un grande condottiero, soprannominato Libertador, per la grande impresa di indipendentizzazione ed unificazione dei territori del Sud America che portò avanti durante gli anni più vitali della sua esistenza. Un Bolívar malato, ma sofferente più nello spirito che nel corpo, angosciato dai tradimenti e dalla corruzione di chi, una volta giunto in una posizione di potere, gli aveva voltato le spalle. Un’impressionante introspezione psicologica, capace di avvicinarci ai pensieri, alle paure e persino alle delusioni di questo grande e coraggioso uomo ricordato come colui che era riuscito nella sua impresa epocale e molto ambiziosa, e a cui ancora oggi vengono dedicati monumenti, strade e piazze…
Addentrandoci nella lettura invece scopriamo la sua incredibile solitudine e la quasi sconosciuta fine che lo sorprese mentre combatteva la sua ultima e disperata battaglia. Il lettore mi perdonerà se ho così “svelato” il finale, che del resto non giunge inaspettato, e soprattutto perché il piacere della lettura di questo libro, che consiglio vivamente, sta nella lettura in se stessa di quest’opera che pagina dopo pagina ci regala una straordinaria sensazione di intimità e compartecipazione per le vicende di quel grande uomo che fu Simón Bolívar.
di Elena Bagalà